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19 LUGLIO 1985
È indispensabile nell’industria ceramica, in quella ottica per la fabbricazione di particolari lenti e pri-
smi, nell’industria plastica e nel trattamento metallurgico della bauxite. I cristalli più puri e trasparenti so-
no utilizzati per la costruzione di lenti acromatiche e per prismi per spettrografia. Il minerale di particolare
pregio è utilizzato per la produzione di oggetti ornamentali.
In Italia, negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, ne sono state prodotte poco meno di 100.000 tonnella-
te all’anno. La fluorite è inserita nell’elenco delle materie prime critiche, definito periodicamente dall’U-
nione Europea, ed è considerata un materiale strategico.
2.2 La miniera sul monte Prestavèl
La prima indicazione scritta circa l’attività mineraria sul monte Prestavèl risale al 1528. La miniera ve-
niva sfruttata in modo saltuario per la produzione di modeste quantità di galena argentifera. Dal verbale,
conservato nell’archivio della Magnifica Comunità di Fiemme, di una riunione svoltasi a Predazzo sul tema
delle miniere, che erano di competenza del Principe Vescovo di Trento, si legge che “vi sono delle miniere
su un certo monte nel territorio di Varena, verso la Val Scura per ascendere all’Alpe di Pampeago; il signor
Francesco Cazzano ed il signor Frate Alemanno vi fecero scavare delle miniere d’argento, mentre la fusio-
ne del minerale avveniva alla vicina Chiusa, con risultati soddisfacenti e con notevole guadagno” (Giordani
et al. 2003).
Lo sfruttamento industriale per l’estrazione di fluorite iniziò ben più tardi. Le prime prospezioni per la
ricerca del filone di fluorite risalgono agli anni Venti del secolo scorso. Il giacimento si sviluppa sulle pendi-
ci occidentali e meridionali del monte Prestavèl tra quota 1900 e quota 1500 m s.l.m. nei territori comu-
nali di Varena e di Tesero. La concessione mineraria fu rilasciata il 6 marzo 1935 alla Società Atesina per
l’Esplorazione Mineraria alla quale subentrò, dal mese di marzo 1941, la società Montecatini.
Fin dagli albori e poi fino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso l’estrazione e la lavorazione
della galena argentifera, prima, e della fluorite, poi, avvenivano nella Val Gambìs, una valle parallela alla
Valle di Stava.
2.3 La lavorazione del “tout-venant” di miniera
2.3.1 La lavorazione in Val Gambìs
La produzione di fluorite da parte della Società Atesina per l’Esplorazione Mineraria e di Montecatini
non superava mediamente le 30 t al giorno.
Le gallerie di miniera erano a quote diverse fra 1820 e 1880 m s.l.m. Le gallerie di quota 1825 erano
collegate fra loro da un piano orizzontale lungo 300 m dotato di binario lungo il quale i carrelli con il “tout
-venant” venivano spinti a mano fino a una teleferica a gravità. Negli ultimi anni Cinquanta del secolo
scorso i minatori disponevano di un mulo che veniva custodito in una delle gallerie. La teleferica collegava
il piano orizzontale con l’impianto di lavorazione sito in località Miniera, lungo la strada che da Cavalese
porta al passo di Lavazé, a circa 1450 m s.l.m.
La fluorite veniva separata dalle rocce con le quali si trova in natura mediante un sistema gravimetri-
co che richiedeva l’uso di modeste quantità di acqua e permetteva di ottenere un prodotto utile al 60%
che veniva utilizzato come fluidificante delle scorie fuse galleggianti sul metallo nell’industria siderurgica.
Il commerciale veniva trasportato a Cavalese dove veniva caricato sui vagoni della Ferrovia Elettrica
della Val di Fiemme. Gli scarti della lavorazione venivano facilmente smaltiti sotto forma di ghiaietto. In
miniera e nell’impianto di arricchimento lavoravano poche decine fra minatori, operai e tecnici residenti
quasi tutti a Varena. Vi furono in questo periodo diversi incidenti sul lavoro, di cui uno almeno mortale.
I minatori raggiungevano con i mezzi propri, alcuni in bicicletta, la località Miniera e da qui, seguendo
i sentieri che erano stati tracciati dai primi cercatori d’argento, salivano a piedi alle gallerie della miniera.
I minatori rimanevano in quota per l’intera settimana lavorativa, sia d’estate che d’inverno, ed erano
alloggiati in una baracca nel bosco, distante alcune centinaia di metri dalle gallerie, composta da una zona
cucina e da un dormitorio. L’alloggio non era dotato né di acqua corrente né di servizi igienici. L’acqua per
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