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Rubriche
Telelavoro e il minuto mantenimento
Memorie di lavoro 20 09 2020
Pietro Jarre, ingegnere
Quando non andavamo in montagna con i bambini le domeniche mattina stavamo in casa a recuperare un poco di
atmosfera famigliare, finalmente tutti e quattro nello stesso posto e svegli. Entrambi professionisti, educare i figli
badando alla carriera di entrambi non era facile.
Tra i trenta e i quaranta infatti dovresti:
1. Riprodurti, perché se no la società che fine fa? E due figli non bastano all’equilibrio, meglio tre
2. Badare alla tua carriera, è un decennio critico di lancio, a quaranta ciò che (non) è stato fatto…
3. Badare ai tuoi amici, alla pancetta, a costruire uno studio con i giovani colleghi, alla tua formazione cultu-
rale, a educare i figli, magari a uno o più genitori che richiedono sempre più attenzione e
4. Ovviamente non perdere d’occhio il tuo rapporto più importante, che se resiste a tutto quanto sopra sarà
poi quello che ti rimane, quando tutto quanto sopra sarà passato.
Tra i trenta e i quaranta non è facile. Io li ho vissuti con l’ultimo decennio del novecento, quando al lavoro venivo
dotato di superpoteri:
- un cellulare, prima grosso e ingombrante, che tirava in tutta Italia, poi
- un computer portatile, poi, direi in questo ordine,
- una rete aziendale con cui mi potevo collegare con il modem sin da casa.
Meraviglia: potevo lavorare da casa, essendo fisicamente in casa, mentre la mamma dei miei figli badava alla sua
professione, e io essendo fisicamente in casa potevo dire a me stesso che bravo padre fossi, perché ero a casa
con i miei figli. C’ero, io c’ero! posso dire. Ma c’eri davvero, papà? Possono dire – e non lo dicono perché sono
molto discreti e se la sono risolta altrimenti – i miei figli.
Dotato dei superpoteri lavoravo non 7 o 8 ore, come i colleghi canadesi e svedesi che davvero praticavano lo
smartworking per obiettivi, in telelavoro o meno, ma 10 – 12 ore, spesso anche 14 – 16 ore. La mia esperienza
indica che con le tecnologie digitali si lavora di più (lezione 1 – digitare meno digitare tutti). L’espressione H24/7 –
che viene dalle catene retail cinesi – non suona anche a voi oscena?
Presto, il fatto che potessi essere raggiunto e potessi raggiungere qualcuno a qualunque ora del giorno e della
notte, nei weekend come nelle vacanze, comportò il cambiamento di ogni abitudine, sul lavoro e a casa. Ne ho
scritto in un capitolo di “Sloweb – piccola guida all’uso consapevole del web”, una raccolta edita da Golem Edizio-
ni. Uno dei ricordi di lavoro di cui più mi rammarico è di un giorno della recita di fine anno all’asilo dei figli, una
sera d’inizio estate; loro bimbi stanno sul palco con le maestre, poi nel prato stanno i genitori (id est, le mamme
per lo più), e io al fondo cammino di traverso su e giù con il telefono in mano, e mentre parlo mi accorgo che un
altro papà, lui più supermanager di me, agita le mani e parla. Lui come me in inglese, io verso i paesi dell’ovest, lui
verso l’est, ma tutti e due non con i figli. Si può dire che eravamo lì, ma si può certo anche dire che NON eravamo
lì. E poi, non solo stavamo sempre al telefono, ma poi stavamo sempre sugli aerei, perché – questo è poi il punto
– il telefono non basta, la video call neppure.
L’altrovità – questo è un concetto che mi hanno insegnato allora; le tecnologie digitali ci aiutano a essere sempre
altrove. Essendo sempre altrove, non siamo mai qui e ora. Questo è meraviglioso per molti (probabilmente, so-
prattutto per quelli non tanto agio con se stessi) ma a lungo andare deresponsabilizza (lezione 2 – siamo tutti re-
sponsabili): se non eri lì, o eri lì ma non eri veramente attento… in effetti come potresti essere davvero responsa-
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