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PANGEA Numero 3 Anno 2020

         produzione il 21,5% della produzione mondiale. Il merito di questo sorpasso va alla messa in produzione dei giaci-

         menti molto estesi nel sottosuolo americano dello “shale gas” (gas da argilla).



         LO SHALE GAS



         Lo “shale gas” (gas da argilla) è un gas non convenzionale derivato dalla decomposizione anaerobica di materia or-
         ganica contenuta nell’argilla durante la diagenesi e cioè durante l’insieme dei processi chimico-fisico che subiscono

         i sedimenti trasformandosi in rocce.  È impropriamente anche chiamato: gas da “scisti bituminosi” e non è da con-
         fondere con altre forme di giacimenti gassiferi (Tight Sand, CoalBed Methane).


         Esso è intrappolato in rocce scarsamente permeabili per cui non si può produrre spontaneamente come dai normali
         giacimenti di gas naturale (da qui il termine “non convenzionale”).

         La presenza di “shale gas” nel sottosuolo è nota da decenni ma la messa in produzione da giacimento fino alla fine

         del secolo XX era messa in discussione da criteri economici e da difficoltà tecniche produttive non efficaci. Queste
         ultime vennero superate dalla messa a punto:


            -   della fratturazione delle rocce di giacimento
            -   della perforazione dei pozzi orizzontali

         La prima tecnica risale ai primi anni del novecento quando si misero a punto modalità di stimolazione di pozzi pe-
         troliferi in fase di declino produttivo (ma con modalità limitate) aumentando con la fratturazione idraulica la porosi-

         tà delle rocce nella zona circostante al pozzo (da pochi metri a 10 – 20 metri).

         La seconda è molto più recente, figlia della perforazione dei pozzi deviati e inclinati e risale agli anni del secolo scor-

         so quando si riuscì a perforare il pozzo petrolifero con un primo tratto verticale (per migliaia di metri) per raggiun-
         gere il giacimento in profondità e con un secondo tratto orizzontale (per centinaia di metri) all’interno dello strato
         produttivo una volta raggiunto.


         Con questa seconda tecnica aumentava notevolmente la “resa” del pozzo e quindi l’intervento diventava economi-
         co. Le due suddette tecniche abbinate dimostrarono, all’inizio del duemila, il grande potenziale dei giacimenti di gas

         non convenzionale enormemente diffusi in USA, Cina, Canada, Australia, India, Sud Africa, Argentina, Algeria e in
         Europa soprattutto in Polonia (non si hanno dati relativi all’esteso territorio della Russia). Ma per ora solo gli Stati

         Uniti hanno impiegato in maniera convinta capitali, risorse tecniche e umane per la produzione di “shale gas” al
         punto di diventare (fenomeno impensabile 10 anni fa) da importatori ad esportatori di gas (sotto forma di LNG: Li-

         quid Natural Gas). I maggiori giacimenti americani sono: il Marcellus (che copre parte della Pennsylvania e dello
         Stato di New York) con una estensione pari alla intera Pianura Padana e ad una profondità compresa fra i 1500 e

         2700 metri; il Permian, un bacino sedimentario che si estende dal Texas allo Stato del Nuovo Messico; l’Utica (che
         copre un’area compresa fra l’Ohio e lo Stato di New York nel bacino appalachiano); lo Haynesville, in terreni del

         Giurassico a profondità compresa fra i 3000 ed i 3900 metri negli stati dell’Arkansas, della Louisiana e del Texas.

         Quattro stati presi insieme producono il 70% dello “shale gas” americano e lo “shale gas” americano grazie so-

         prattutto al loro contributo è passato in 10 anni da 10 a 140 miliardi di metri cubi portando la sua incidenza sul to-

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