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A un certo punto, tirando troppo l’elastico, questo si spezzerà; analogamente, comprimendo troppo il pezzo di
cera, questo si romperà.
Se ripetiamo l’esperimento con una corda, tirandola (Figura 2a), e un pezzo di sughero (ad esempio un tappo),
comprimendolo (Figura 2b), è possibile verificare che, per quanto forti siano la corda, che si allungherà leggermen-
te, e il sughero, che si accorcerà leggermente, essi non si romperanno. Nello stesso esperimento, condotto infine
con un filo di ferro (Figura 2c) e un mattone (Figura 2d), oltre a non ottenere la rottura per entrambi, non riuscirem-
mo ad apprezzare nemmeno la deformazione, sebbene quest’ultima sia sempre presente.
Fig. 2. Rappresentazione schematica di un’azione di trazione ed una di compressione analoghe a quelle della Figura 1 ma con-
dotte su corpi a minore deformabilità e resistenza crescente
(da:www.darioflaccovio.it/blog/informazione-tecnica, modificato)
Gli esempi riportati dimostrano solamente qualcosa che fa parte della nostra esperienza quotidiana, cioè ma-
teriali diversi si comportano in maniera differente nei confronti degli sforzi elementari. Sottoposti allo stesso carico
alcuni si rompono e altri no, così come si allungano, o si accorciano, in maniera differente.
I materiali lapidei, al pari di ogni altro materiale, sia esso da costruzione o no, seguono anch’essi questi mec-
canismi.
La resistenza alla compressione di un materiale lapideo, qualitativamente, è la resistenza opposta alle sol-
lecitazioni che tendono a romperlo per schiacciamento. Essa rappresenta il carico unitario necessario per portare
alla rottura un provino.
Storicamente, quando la pietra veniva largamente impiegata con un ruolo strutturale - cioè con funzione por-
tante - la resistenza alla compressione era un parametro di importanza assoluta, dal momento che ogni elemento
in pietra si trovava a dover sostenere carichi permanenti, cioè il peso degli elementi ad esso sovrastanti (Figura 3),
nonché quello di tutte le altre infrastrutture eventualmente presenti.
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