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PANGEA Numero 2 Anno 2020
Malgrado i problemi ben conosciuti inerenti al processo nucleare (vita delle scorie e gestione dei depositi), gli ele-
vati costi di investimento (una media centrale nucleare costa da 5 a 8 miliardi di dollari) ed il rischio di incidenti
(1957 Kystym in URSS; Sellafield in Gran Bretagna; 1979 Three Mile Island in USA; 1989 Chernobyl in Ukraina; 2011
Fukushima in Giappone), l’investimento nel nucleare da “fissione” procede anche se in misura contenuta rispetto al
fabbisogno mondiale di energia (Vedi Tab. 1 e Tab. 2).
La Tab. 1 evidenzia una anomalia rispetto a questo processo di lenta crescita. Essa è dovuta all’incidente del 2011 a
Fukushima in Giappone con la chiusura progressiva di tutte le centrali ma con altrettanta riapertura progressiva
delle stesse a partire dal 2015 dopo interventi mirati di manutenzione e messa in sicurezza (nel 2020 42 centrali
erano di nuovo funzionanti e 18 ancora in revisione).
L’incidente di Fukushima dell’11/03/2011 dovuto a uno “tsunami” (maremoto) di eccezionale portata in Giappone,
ha interessato la locale centrale nucleare provvista di 6 reattori per una potenza di 4,7 GW causando danni struttu-
rali e ferendo 16 operatori. Per contro lo “tsunami” ha causato nel territorio colpito dall’ondata (alta 13 metri) la
morte di 18.500 persone ed ha costretto alla evacuazione 200.000 individui. Fukushima non può pertanto annove-
rarsi come “disastro nucleare”. Tale denominazione vale invece per l’impianto nucleare costruito nel 1977 a Cher-
nobyl in Ucraina e avvenuto il 25/04/1986. In complesso le morti qui dichiarate ufficialmente per effetto delle radia-
zioni assorbite sono state 65 ma purtroppo le conseguenze di tale disastro sono destinate a manifestarsi in forma di
tumori e leucemie e si vedranno nel tempo. Un “forum” dedicato appositamente al problema (2006) ha stimato
che nel lungo termine si potranno avere oltre 4000 morti fra le circa 600.000 persone esposte alle radiazioni men-
tre un rapporto del Centro Internazionale di Ricerca (CIR) parla di probabili 16.000 decessi nei prossimi anni.
Il disastro di Chernobyl ha fatto sì che l’Italia, uno dei paesi di più lunga datazione per l’uso dell’energia nucleare
“da fissione” (Centrale di Latina 1963 da 216 MW; Centrale di Garigliano 1964 da 159 MW Trino Vercellese 1965 da
265 MW; Caorso 1977 da 850 MW) con un referendum lanciato pochi mesi dopo l’incidente costituito da 3 commi
che nulla o poco avevano con la chiusura e lo smantellamento delle succitate centrali nucleari, ottenne grazie alla
manipolazione fallace della classe politica italiana, la fuoriuscita definitiva (almeno finora) dal club dei paesi nuclea-
rizzati.
Chiedevano i 3 commi del Referendum:
I. Sei d’accordo di abrogare la norma che sia il CIPE (Comitato Interministeriale della Programmazione Econo-
mica) a decidere la localizzazione dell’impianto?
II. Sei d’accordo di abrogare la norma del contributo monetario agli enti locali consenzienti?
III. Sei d’accordo di abrogare la norma che l’Enel partecipi a gare internazionali?
Con queste domande fra le quali non compariva l’unica fondamentale e cioè: “Sei d’accordo di smantellare le cen-
trali nucleari presenti in Italia e di uscire dal nucleare da fissione?” il Governo italiano decise arbitrariamente di
chiudere le 4 centrali nucleari (con i conseguenti costi elevatissimi di intervento addebitati alle bollette della luce).
Votò il 65% degli elettori e l’87% di questi risposero: “Sì” pari al 56,5%: una maggioranza esigua ulteriormente ri-
dotto con il successivo referendum abrogativo del 2011, per il quale votarono solo il 54,8% degli aventi diritto.
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