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PANGEA Numero 3 Anno 2020


           Spaghetti presi con le mani. Memorie di lavoro


           Pietro Jarre    - blog.ememory



           Non riuscivo a sentirli vicini a me, forse ero io che ne avevo talmente bisogno che non sentivo alcuna loro em-
           patia per me.



           Ero uscito dalla casa dove tre giorni prima mio padre era morto, avevo dovuto scusarmi con fratelli e mamma
           riuniti per il lutto dopo il funerale e poi chiamare casa mia e dire che non sarei tornato neanche dopo cena dai
           figli e la giovane moglie. Là dal cliente avevano chiamato, avevano bisogno. E non ero stato capace di dire no
           questa sera proprio non posso.



           Arrivai in quegli uffici grigi, dove progettavano con la nostra consulenza le strutture della metropolitana nord
           sud – che dopo trent’ anni ancora nessuno ha il coraggio di fare – e mi presentai al loro capo. Lui è matto, e
           questa sera sta chino su un cartoccio di spaghetti luridi, e prendendoli con le mani si macchia la cravatta. Mi
           dice grazie che sei venuto, avevamo proprio bisogno di alcuni chiarimenti: il rivestimento provvisorio delle gal-
           lerie lo mettiamo nei computi qui o là? Io guardai lui, poi mi volsi ai suoi, affamati e frustrati. Lui mangiava –
           qualcuno gli aveva procurato quegli spaghetti, ma si asteneva dal toccarli – e di fianco a lui c’era una nota
           scritta a mano: “morto il padre”. Scritta da qualcuno dei suoi, nel tentativo di fare di quel pazzo un essere uma-
           no.


           Non li sentivo vicini a me. L’odore di caserma e le regole stupide li avvolgevano tutti, erano lì perché il capo era
           matto e non aveva un abbraccio cui tornare. Avevano fame e non sognavano altro che entrare nelle loro mac-
           chine d’ordinanza e andare alle loro famiglie. Probabilmente erano anche incazzati che io fossi andato lì alle
           dieci di sera invece di aiutarli a chiudere quel lunedì inutile in cui nessuno di loro aveva il coraggio di prendere
           una semplice decisione. Ci voleva quel pischello di 32 anni, consulente esterno, per dirgli che fare, così che loro
           dormissero tranquilli?


           C’era l’odore degli ordini e delle gerarchie che avevo conosciuto in caserma. Caldo e rassicurante per quasi
           tutti, per quelli che non vedevano le forme di formaggio uscire nei bauli delle utilitarie dei marescialli, per
           quelli che ti davano un permessino illecito e poi ti chiedevano come trovare compagnia vicino alla stazione.
           Caldo e rassicurante per un paese intero: il capo è pazzo, e verrà il giorno in cui appena lo vedremo penzolare
           con i pantaloni molli e il culo nudo correremo a farci timbrare il visto di resistenti. Un paese che non voglio ma
           ho dovuto conoscere, per fortuna per poco.



           Il capo mi chiede delle centine e dei bulloni, poi fa un cenno con la mano coperta di sugo. E i suoi si dileguano.
           Rimaniamo soli, e quando io mi aspetto che mi porga le condoglianze, lui invece mi dice: devi andare al nostro
           Ufficio Acquisti. Il lavoro sta andando bene, siete proprio bravi. Devi andare giù, domani ti aspettano. Devi ne-
           goziare il contratto.







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