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PANGEA Numero 4 Anno 2020


         Il consulente tecnico di parte nel processo penale per rea-

         ti ambientali. Consulenti “prioritari” e consulenti “non



         prioritari” .




          Avv. Mario Gebbia: mario.gebbia@gbpenalisti.it

             La  Corte  di  Cassazione  torna  sul  tema  del  valore  probatorio  delle  consulenze  di  parte  effettuate  ai  sensi
         dell’art. 233 del codice di procedura penale.
             L’art. 233 c.p.p. dispone che “Quando non è stata disposta perizia ciascuna parte può nominare, in numero non
         superiore a due, propri consulenti tecnici.
             Questi possono esporre al giudice il proprio parere, anche presentando memorie …”.
             Ovviamente le parti possono nominare propri consulenti anche quando il Giudice ha disposto la perizia, cosa
         che può accadere principalmente in sede di incidente probatorio o in sede dibattimentale.
             Vogliamo però qui centrare l’attenzione sulla figura del c.d. “consulente di parte”, una figura tipica del proces-
         so penale, e che può essere nominato, appunto, dalle parti: il Pubblico Ministero, l’imputato, la parte civile, il re-
         sponsabile civile, la società incolpata ai sensi del decreto 231, i relativi difensori.
             Il processo penale, per alcune tipologie di illecito, è caratterizzato dalla forte e fondamentale presenza dei tec-
         nici, quindi dei periti (nominati dal Giudice) e/o dei consulenti (nominati dalle parti). Parliamo dei procedimenti per
         reati ambientali, per reati in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, per le colpe mediche ed in generale di tutte i
         reati per il cui accertamento il Giudice deve necessariamente attingere alle conoscenze scientifiche di settori diversi
         dal diritto.
             Chi ha avuto esperienza di questi processi sa bene quale importanza abbiano gli accertamenti tecnici e quali
         danni, enormi danni, è in grado di causare una perizia o una consulenza “sbagliata” nell’economia della giustizia
         penale.
             Il processo c.d. “di parte” vorrebbe che alle diverse parti del processo, ed in primo luogo al Pubblico Ministero

         ed al difensore dell’imputato, siano riconosciute le stesse facoltà di proporre al Giudice argomenti a sostegno delle
         reciproche posizioni (salvi ovviamente diritti che possono essere propri soltanto della parte pubblica -il Pubblico
         Ministero- come il potere di disporre della Polizia Giudiziaria, o facoltà che sono connaturate ed esclusive della figu-
         ra dell’imputato, quale ad esempio la facoltà di non rispondere).
             La consulenza tecnica si pone, rispetto a questo criterio di parità delle parti, in termini fortemente critici.
             In questo contesto si inserisce la decisione in commento, secondo la quale “Come condivisibilmente affermato
         da un precedente arresto di questa Corte non può prescindersi dal ruolo precipuo rivestito dall’organo dell’accusa e
         dal suo diritto/dovere di ricercare anche le prove a favore dell’indagato, come stabilito dall’art. 358 c.p.: <se è vero
         che il consulente viene nominato ed opera sulla base di una scelta sostanzialmente insindacabile del pubblico mini-
         stero, in assenza di contraddittorio e soprattutto in assenza di terzietà, è tuttavia altrettanto vero che il pubblico
         ministero ha per proprio obiettivo quello della ricerca della verità – concretamente raggiungibile attraverso una in-
         dagine completa in fatto e corredata da indicazioni tecnico scientifiche espressive di competenza e imparzialità –
         dovendosi  necessariamente  ritenere  che  il  consulente  dallo  stesso  nominato  operi  in  sintonia  con  tali  indicazio-
         ni>” (Cass. pen., Sez. 3, 18 febbraio 2020, n. 16458).
             L’art. 358 c.p.p., richiamato dalla sentenza citata, dispone che “Il Pubblico Ministero compie ogni attività neces-
         saria ai fini indicati nell’art. 326 (n.d.r., le decisioni inerenti la promozione dell’azione penale) e svolge altresì accer-
         tamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”.
             Questa è, dunque, la cornice entro la quale si muove la sentenza in oggetto.
             Per comprendere esattamente quanto poco aderente alla realtà del processo penale siano le valutazioni fatte
         dalla Suprema Corte, concentreremo l’attenzione sul reato ambientale (che è anche quello in ordine al quale lo scri-
         vente può vantare un’esperienza applicativa molto ampia).
             Nelle indagini per reati ambientali, l’applicazione dell’art. 358 c.p.p. citato appartiene al libro dei sogni, per
         ragioni che solo in parte sono riferibili a scelte del Pubblico Ministero.
             Il tema vero, in realtà, è la polizia giudiziaria nonché, appunto, la consulenza tecnica.
             Bisogna anzitutto prendere atto del fatto che Pubblici Ministeri specializzati nella materia ambientale se ne
         vedono sempre meno. Sono rimasti quelli storici, dove ancora in servizio e operanti nello specifico settore, e qual-


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