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AGRICOLTURA E TERRITORIO
Il metodo agroecologico si basa sulla riduzione degli input energetici esogeni ed il riciclo dei nutrienti, facendo
propri metodi e concetti dell’agricoltura organica. Per la lettura dei sistemi agrari complessi vengono usati opportu-
ni indicatori agroecologici (IAE), selezionati sulla base dei criteri di utilità d’uso, validità analitica e grado di misura-
bilità. Esempi di indicatori utilizzati a scala aziendale sono il contenuto di fosforo, azoto e sostanza organica del suo-
lo, indicatori di diversificazione colturale (IDC), che aumentano di valore all’aumentare del numero di specie coltiva-
te in una unità d’area o l’indicatore di successione colturale (ISC) che valuta invece effetti positivi o negativi di una
coltura su quella successiva. Le tecniche di elaborazione ed uso degli IAE mostrano enormi potenzialità applicative
nell’analisi, pianificazione, gestione, monitoraggio e valutazione dei sistemi agrari, nel rappresentare il quadro delle
condizioni-pressioni ambientali e delle risposte sociali, per quanto l’elaborazione di tali indicatori sia ancora un
campo di ricerca in piena attività.
L’agroecologia pone maggiore attenzione ai sistemi agricoli tradizionali a piccola scala rispetto alle innovative
tecniche agronomiche di precisione e questo interesse è motivato, oltre che dalla riduzione degli apporti esterni e
dei costi a loro associati, dalla necessità di coinvolgere famiglie di agricoltori e imprese agricole come agenti attivi
nella programmazione, gestione e controllo del territorio rurale. L’agroecologia unisce quindi all’utilizzo delle prati-
che di agricoltura organica azioni di ricerca partecipativa volte a cogliere esigenze, percezioni, proposte e desideri
degli attori coinvolti e valorizzi le pratiche tradizionali di gestione delle risorse genetiche e ambientali. Perché la
transizione risulti radicata nel territorio la forza propulsiva deve provenire dal basso, dalle piccole attività familiari
come dai sindacati e movimenti contadini ma il più alto grado di trasformazione sociale è comunque reso effettivo
su ampia scala solo dall’intervento (e previo riassetto) delle istituzioni e degli organismi che concorrono nelle politi-
che di sviluppo agricolo. Per questi motivi l’agroecologia, oltre che un approccio scientifico, assume i caratteri di
movimento per l’equità sociale dove il principale indicatore del successo di una transizione agroecologica è la sicu-
rezza alimentare crescente di un territorio.
1.2 Il ruolo dell’agroforestazione nella transizione agroecologica
L’agroforestazione (agroforestry) rappresenta l’insieme dei sistemi agricoli nei quali la coltivazione di specie
legnose perenni, arboree e/o arbustive, è consociata a seminativi e/o pascoli, nella stessa unità di superficie. Tali
sistemi hanno costituito la normalità dei paesaggi dell’Europa Mediterranea e soprattutto italiana per secoli; fino a
cinquant’anni fa la pianura padana ospitava numerosi filari di gelso per l’allevamento del baco da seta che inter-
rompevano la trama di arativi e prati, oppure viti “maritate” a specie arboree che fungevano da tutori vivi e contri-
buivano alla diversificazione produttiva dell’appezzamento, apportando legname da lavoro e da ardere
nonché frutti o foraggio per il bestiame.
I sistemi agroforestali vengono classificati in:
sistemi silvoarabili – dove le colture arboree da legno o frutteti vengono consociati a specie erbacee,
tradizionalmente seminativi o colture foraggere;
sistemi silvo-pastorali – consociazione tra pascolo e arboricoltura;
seminativi arborati – in cui seminativi semplici sono accompagnati da componente arborea in ordine
sparso (Castanea, Quercus, Juglans spp.);
sistemi agro-silvo-pastorali – consociazione tra pascolo, arboricoltura e specie erbacee;
sistemi lineari – in cui filari alberati a bordo campo, siepi, fasce tampone lungo i corsi d’acqua e fasce
frangivento rappresentano strutture protettive dell’agro-ecosistema.
Come sopra accennato questo tipo di gestione è stata sfavorita fortemente dall’avvento dei sistemi
meccanizzati orientati alla monocoltura, nei quali si è optato per minimizzare i problemi di competizione idrica e
ombreggiamento dato dalle consociazioni con le specie ad alto fusto e che hanno sostituito l’uso massiccio di
fertilizzanti di sintesi all’apporto organico dato dalle latifoglie. L’alta concorrenzialità dei prodotti legnosi esteri, il
debole legame esistente tra domanda e offerta di legname e la scarsa disponibilità di manodopera in agricoltura
hanno ostacolato ulteriormente il mantenimento delle pratiche agroforestali. La loro scomparsa ha causato nel
tempo la progressiva perdita di conoscenze ad esse associate anche nella sfera delle organizzazioni professionali e
della ricerca.
Le pratiche agroforestali equilibrano maggiormente la produzione alimentare e quella di biomassa rispetto i
sistemi convenzionali, risultando funzionali alla riduzione degli apporti di fitosanitari e concimi; l’aumento della
quantità di carbonio organico immagazzinato dal sistema aumenta anche la quantità e qualità dell’acqua trattenuta
e filtrata dal suolo con effetti positivi sul ciclo idrologico. L’agroforestazione arricchisce inoltre il paesaggio di
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