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PANGEA Numero 6 Anno 2021
Oltre alla quantità dei vuoti, rivestono particolare importanza le loro dimensioni e il grado di interconnessione (porosità
comunicanti). La dimensione ha un’influenza diretta sulla possibilità dei liquidi di entrare all’interno della massa, per gravità o
per fenomeni capillari (questi ultimi potentissimi); il grado di interconnessione (Figura 3) governa l’effettiva possibilità dei
liquidi di attraversare la roccia (= permeabilità), distribuendosi così all’interno, e raggiungendo porzioni della massa anche
distanti dalle superfici esterne.
Schema A Schema B
Figura 3: Schematizzazione di un provino lapideo che permette di materializzare il concetto di porosità comunicanti. Le porosità 1-2, così
come 3-4 e 5-6, non comunicanti tra loro nello schema A, sono state (volutamente) disegnate come comunicanti nello Schema B. 1 e 6 sono
porosità aperte, e quindi accessibili, mentre 2, 3, 4 e 5 sono chiuse, pertanto non accessibili. Con la mutata configurazione dello schema B,
diventano aperte ed accessibili anche la (ex) porosità 2 e la (ex) porosità 5, situazione nella quale i fluidi possono penetrare maggiormente
all’interno della massa rocciosa. In condizioni di ordinario esercizio di un materiale lapideo, una transizione da pori non comunicanti a pori
comunicanti può determinarsi per molteplici cause: pressioni di cristallizzazione di minerali, stress e sollecitazioni meccaniche, dilatazioni e
contrazioni, azione del gelo, ecc.
Si consideri, ad esempio, il problema della formazione di ghiaccio: com’è noto, l’acqua, nella trasformazione da liquido a
solido, subisce un aumento di volume di circa il 9%. Una volta introdotta in un poro, l’acqua scaricherà integralmente la
pressione derivante da tale aumento di volume sulle pareti del poro stesso, un meccanismo questo che, protratto nel tempo
(alternanze gelo-disgelo), porta ad una lenta, ma inesorabile, disgregazione destinata a diffondersi nella massa rocciosa
(crioclastismo). Le porosità chiuse, in prima istanza, non sono soggette allo stesso meccanismo; anche se v’è da dire che molti
pori chiusi, proprio per le conseguenze del ghiaccio sui pori aperti, possono convertirsi essi stessi in pori aperti (quindi
accessibili) ed ampliare sempre di più la portata del fenomeno.
In generale, occorre prestare attenzione nell’interpretare correttamente i valori della porosità; non è raro, infatti, osservare
materiali con porosità elevata che, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, si comportano in opera molto meglio di
materiali a porosità contenuta. Un buon esempio è costituito da molti travertini, i quali, pur con porosità elevate (fino al 15%
20%), hanno spesso un comportamento eccellente nei confronti del gelo; l’acqua infatti entra facilmente nelle grandi cavità,
spesso non intercomunicanti tra loro, ma ne può uscire altrettanto facilmente, limitando la nocività della sua azione. Al con-
trario, molti materiali con un sottile reticolo di pori e microfessure, spesso intercomunicanti, hanno valori di porosità inferiori,
ma evidenziano un comportamento in opera ben peggiore; la circolazione diffusa nei micropori, dai quali l’acqua ha difficoltà
ad uscire, spesso aggravata dagli effetti della capillarità, finisce infatti per avere un effetto disgregatore ben maggiore di ciò che
accade con cavità di grandi dimensioni.
Inoltre, in proporzione, le pressioni dovute al gelo sono molto più deleterie nei pori piccoli rispetto a quelli grandi; ed ecco
perché una rete di piccoli pori diffusi può lentamente degradare una roccia compatta a dispetto di un buon valore di laborato-
rio che non farebbe presumere una tale portata del fenomeno.
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